Prende il nome dall’oculista svedese Henrik Sjögren, che la descrisse per la prima volta nel 1933, la sindrome che si traduce in una malattia infiammatoria cronica autoimmune che provoca secchezza delle ghiandole esocrine, soprattutto quelle lacrimali e salivari, e colpisce per lo più le donne (90% dei casi).
Ne esistono due forme: primaria e secondaria. La prima è caratterizzata dalla sindrome sicca con o senza impegno sistemico in assenza di altre patologie, mentre la seconda si accompagna ad altre malattie autoimmuni (artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, mieloma multiplo, etc.). In entrambi i casi posso essere influenzate anche altre parti del corpo, come la pelle, le articolazioni, polmoni, reni, vasi sanguigni e il sistema nervoso. Diventa quindi fondamentale riunire un team di specialisti (reumatologi, immunologi, oculisti, ginecologi, dermatologi, odontoiatri e fisioterapisti) per creare dei percorsi di cura personalizzati, visto che al momento non esiste una terapia specifica, e per ridurre i tempi di diagnosi.
In occasione della quinta Giornata Mondiale, l’Associazione Nazionale Italiana Malati Sindrome di Sjögren (ANIMaSS) ha organizzato il 27 luglio scorso, a Salerno, un incontro con autorità, medici ed esperti che ha fatto emergere la necessità di intraprendere un percorso volto a far riconoscere la Sindrome di Sjögren come malattia rara e non più cronica-invalidante.