A cura di Alberto Martelli, pediatra convenzionato con Ente Mutuo Regionale
Il problema dei pochi nati nel nostro territorio nazionale è da alcuni anni rappresentato da un trend che, apparentemente, pare irreversibile in tempi brevi. Dopo il fatidico baby boom degli anni 60, si è assistito ad un’ulteriore ma temporanea ripresa, a distanza di una generazione, quando cioè i figli del baby boom, negli anni 90 circa, sono a loro volta diventati madri e padri, ma poi, ineluttabilmente, il calo delle nascite è stato sempre più evidente e, dal 2013 è stato progressivamente sempre più marcato. Il livello più basso è stato raggiunto proprio nello scorso anno, nel 2021, con un numero di nati di poco al di sotto dei 400.000/anno.
Si sperava che i ripetuti lockdown, per arginare il Covid, potessero facilitare la ripresa della natalità, ma i dati parziali, già disponibili per il nuovo anno, non sembrano orientare in tale direzione. Questo calo dei nati, unitamente al generale invecchiamento della popolazione, ha e avrà una forte ripercussione sulla sostenibilità del nostro welfare. Una popolazione sempre più anziana, infatti, fa lievitare i costi per previdenza e sanità, perché richiede un maggior numero di interventi di sostegno. E se, nello stesso tempo, la popolazione attiva si contrae a causa della denatalità, il numero di contribuenti cala e la fiscalità generale si deve necessariamente addossare un carico economico che non può coprire e, di pari passo, il sistema sociale rischia di collassare.
Ma come è possibile che non si riesca ad invertire questo trend aumentando il numero di nascite nel nostro Paese? Forse l’esperienza insegna che, in queste circostanze, occorre guardare in casa altrui, cioè negli altri Paesi che hanno avuto la possibilità di studiare strategie che sono state capaci di realizzare un impatto favorevole, facendo migliorare il preesistente problema.
Ad esempio la Francia è stata, tra i paesi OCSE ed europei, quella con i più alti tassi di fertilità dall’inizio degli anni 2000. Con 1,86 figli per donna, la Francia nel 2019 ha superato nettamente la media UE di 1,53 e ancora di più quella italiana, collocata ora a 1,27. Questo evento non è stato casuale ma ha trovato le fondamenta in una serie di interventi politici e sociali che hanno facilitato le famiglie in questo percorso.
Occorre infatti aiutare la genitorialità per aiutare, di riflesso, la natalità. In questo ambito sono state implementate, dal governo francese, misure a sostegno della famiglia. Ad esempio, fin dalla nascita del primogenito, le famiglie ricevono un sostegno economico consistente, che va aumentando con il numero dei bambini, garantendo e aiutando la scelta di fare dei figli nel lungo periodo.
Inoltre, la legge francese prevede la possibilità, per uno dei genitori, di lavorare a tempo parziale nei primi anni di vita dei figli e, comunque, per i bambini più piccoli, sono previsti costi più contenuti per la frequenza agli asili nido. I datori di lavoro possono concordare l’orario del part time, ma sono obbligati ad assecondare la richiesta, la cui accettazione non è discrezionale. Infine lo stato integra parzialmente la perdita di salario del lavoro.
Un percorso di virtuose politiche sociali come la scuola a basso costo o le soluzioni abitative favorevoli alle famiglie non sono direttamente rivolte alla fertilità, ma hanno un forte impatto nella pianificazione famigliare. Anche il tempo pieno a scuola è una questione centrale perché garantisce ai genitori, la possibilità di lavorare in tranquillità.
Pensate che, in Francia, già prima della pandemia, si poteva lavorare da casa, fare smart working in poche parole, se un bambino era malato. Oltre a tutte queste iniziative, occorre anche realizzare, in maniera più consistente, aliquote fiscali più favorevoli se si hanno figli, facilitando economicamente le scelte famigliari. Come descritto, sono tante le iniziative che, nel nostro Paese, potrebbero essere rinforzate a favore della natalità. Occorre però fare presto, molto presto, prima di trovarci in condizioni di davvero difficile soluzione.